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COMMONERS VOICES

SUOLO \ CLIMA \ ENERGIA \ WELFARE

-Toni Casano-  la piattaforma politica sui beni comuni \


Cresce la comunità che ha dato vita al progetto del Comitato Rodotà, con la prospettiva di espandere la sfera attorno la tematica sui Beni Comuni,  come dimostra l’ampia partecipazione e la ricca discussione che si è sviluppata nel corso dell’Assemblea plenaria nazionale online dello scorso fine settimana, i cui interventi registrati integralmente si possono seguire sulla pagina social ComitatoDifesaBeniPubblici.
L’Assemblea s’è articolata in due parti: nella prima, ha dato spazio al dibattito sul documento programmatico presentato dal tandem Mattei-Lucarelli (di cui abbiamo scritto, evidenziandone anche l’apertura de facto della la campagna referendaria abrogativa del vigente sistema sanitario); nella seconda, il tempo è stato impiegato nell’approfondimento tematico dedicato al Cibo, al Clima e all’Energia, sezioni che hanno visto la partecipazione di invitati d’eccezione, i quali hanno manifestato anche una sensibilità alla politica assai vicina e agli obiettivi del Comitato-Rodotà.
Conclusasi la prima fase assembleare, con l’approvazione della linea espressa dal documento proposto dai due giuristi, è stata data la parola agli invitati: l’accademico ed ex ministro Lorenzo Fioramonti (percepito dai media come leader dell’area grillina di estrema sinistra) e Luca Mercalli, anch’egli accademico, climatologo e meteorologo, noto al grande pubblico per la partecipazione alla popolare trasmissione televisiva  “Che tempo che fa”. Della squadra doveva far parte anche Carlin Petrini, fondatore di “Slow Food”, nonché noto attivista ambientalista, da sempre in prima linea nella lotta contro gli OGM. Purtroppo ha dovuto dare forfait all’ultimo minuto, ma “non mancheranno in futuro  – come hanno precisato gli organizzatori – le occasioni di incontro per le comuni battaglie”. In ogni caso, sul tema della nutrizione è stata posta una particolare attenzione, mettendo la questione in relazione ai processi di desertificazione causati dal surriscaldamento climatico che – a causa dello scioglimento dei ghiacciai per l’aumento della temperatura del terrestre – provocherà inevitabilmente l’aumento del livello dei mari, inondando centri urbani e  terreni oggi destinati alle coltivazioni agricole. Se così stanno le cose, ha sottolineato Luca  Mercalli, “fra 50 anni  quasi 2\3 della popolazione  potrebbe essere  cacciata da alcuni parti del globo”.
Nel merito della sua articolata relazione, l’autorevole climatologo italiano ha sviluppato l’analisi sull’inabitabilità del Pianeta generata dai fattori-rischio, singolarmente presi o in combinata fra loro, quale effetto direttamente imputabile al modello di sviluppo capitalista. Nella fattispecie i fenomeni osservati in dettaglio da Mercalli che minacciano la conservazione degli ecosistemi e la riproduzione stessa della nostra specie sono, per l’appunto, l’aumento della temperatura climatica, la mancanza di cibo per effetto del  processo di desertificazione e l’innalzamento del livello delle acque marine. Un’ inversione di tendenza di questa folle corsa alla crescita esponenziale dovrebbe innestarsi nell’utilizzazione virtuosa delle opportunità dei saperi diffusi, sottraendo il loro intreccio socializzante alla sfruttamento economicistico, provando così a trasformare l’eccesso di capitale in bene comune.
Il problema che bisognerà porsi, ed in questo senso il Comitato-Rodotà è un’assoluta risorsa politica, è come far crescere una massa critica, organizzando la resistenza attiva contro gli interessi economici e politici dominanti che, invece, fanno di tutto per ritardare “la transizione energetica con l’espansione delle fonti rinnovabili”, transizione che necessità di “interventi improrogabili non oltre il limite di 10 anni”, dato che si sono accumulati ben 40 anni di ritardi senza interventi sostanziali in nome del lassez-faire. Inoltre dal punto di vista ecologico la situazione è stata aggravata dall’impiego scellerato delle centrali nucleari (proposte in alternativa alle fonti energetiche basate su emissioni derivanti dai combustibili fossili) che producono scorie radioattive, il cui ciclo di smaltimento è calcolato in ere geologiche e che, nel frattempo,  renderanno inospitale enormi parti del suolo terrestre. Si paventa, in questo modo, un vero terricidio (causato anche dalla dissennata cementificazione) che – come rileva Mercalli- si può fermare soltanto sottraendo il suolo dagli attacchi speculativi dichiarandone la tutela giuridica “in quanto bene comune da salvaguardare in funzione dell’interesse delle future generazioni”. In questo senso il noto climatologo ritiene che, allo scopo della riduzione dell’effetto di surriscaldamento climatico, anche le stesse centrali a biomassa  – “nei casi di necessità e con una gestione responsabile” – possono essere utilizzabili e rese sostenibili, evitando così l’espandersi della devastante ideologia nuclearista.
Una considerazione evidenziata durante il dibattito sulle fonti energetiche è che la partita sulle tecnologie utilizzabili ha una rilevanza sul piano globale, ed investe direttamente la condizione di estrema povertà in cui versano le popolazioni nei paesi del cd “Terzo Mondo (e che mai raggiungeranno il trend d’opulenza conseguito nei paesi del “Primo Mondo”). Infatti, mentre nelle cittadelle occidentali è possibile “realizzare impianti di autoproduzione energetica con piccole centrali alimentate da fonti rinnovabili, data la disponibilità e diffusione delle tecnologie”, nelle aree del sottosviluppo forzato le condizioni qualitative degli abitanti saranno sempre più penalizzanti, data la loro esclusione dall’accesso tecnologico, giacché per il sistema capitalistico globalizzato è sufficiente il loro impiego come mera manovalanza a basso costo a servizio della di produzione materiale. Insomma la disuguaglianza energetica sul piano globale è uno dei pilastri su cui si gioca il conflitto ambientale non disgiunto da quello sociale.
Non meno interessante è stata la discussione proposta da Lorenzo Fioramonti, il quale ha messo in evidenza l’importanza del linguaggio politico costruito attorno i beni comuni, in ordine a quel desiderio di chiarezza opposto al linguaggio politichese che ha aperto voragini di incomunicabilità, distanziando volutamente la società dalla partecipazione democratica dalla cosa pubblica.  Nella sostanza l’ex ministro immagina un’ibridazione del nuovo modello di governante per la gestione dei beni comuni: “né tutto Stato né tutto Privato”. Una gestione sistemica condivisa, fermo restando l’abbandono della logica del profitto come supposta forma di efficienza gestionale, in considerazione dell’acclarata  prova di inefficacia e inefficienza del modello burocratico. Quindi l’ipotesi di ibridazione si regge fondamentalmente su un rapporto tra Pubblico (rinnovato profondamente nella sua struttura amministrativa, con un sistema di pesi e contrappesi dei processi decisionali democratici dal basso)  e  “Terzo Settore No Profit”, sul quale bisognerà intervenire – diciamo noi –  sia per verificare l’effettività gestionale e partecipativa degli associati, sia per allargare le modalità costitutive, le quali non possono essere affidate esclusivamente alla ’iperformalità statutaria”. In questo senso, andrebbero considerate tutte quelle soggettività informalmente costituite e assai diffuse nella società contemporanea, di cui abbiamo avuto la prova provata della loro efficacia proprio nel periodo di lockdown,  intervenendo in vari modi a sostegno dei più deboli.
Sull’impianto gestionale proposto da Fioramonti v’è stata una convergenza di massima di Ugo Mattei, che ha voluto ricordare il sodalizio con il fondatore della dottrina sui beni comuni in Italia, il mai troppo rimpianto Stefano Rodotà, quando assieme ad altri diedero vita alle battaglie  contro le privatizzazioni e per tutela dei beni comuni, rendendosi conto della necessità di riformare il quadro legislativo codificato sui beni così come classificati dal Codice civile. A tal fine è stato presentato il disegno di legge di iniziativa popolare che recuperava il testo esitato dalla storica Commissione-Rodotà.
Nel merito Mattei ha chiarito che bisogna andare oltre il concetto di bene comune legato al valore economico (alla Ostrom) e guardare al Comune tout court  come piattaforma politica, oltre il Pubblico e il Privato: “I beni comuni intesi non solo come cittadinanza attiva, bensì come produzione di politicità, non solo gestionale ma progettuale. Non semplicemente una terza via giuridica, ma come costituente sociale”.
A conclusione dei lavori, Mattei, nel rilanciare la campagna referendaria sulla Salute (che dovrà chiudersi necessariamente entro la finestra istituzionale di settembre, quale limite formalmente consentito nel corrente anno per la legittima ammissione dell’iniziativa) ha esortato le realtà territoriali del Comitato ad avviare un percorso di mobilitazione e radicamento, sviluppando la capacità aggregativa per la costituzione delle reti con gli altri soggetti alternative ed antagonisti prima che si dispieghi la catastrofe economica. “Bisognerà immaginare – sintetizzando al massimo le conclusioni di Mattei – un modello di società diverso da quello pre-pandemico, a cominciare dal diritto universale dell’assistenza sanitaria con la fuoriuscita del Privato dal sistema nazionale che assorbe ingenti risorse a scapito dell’infrastruttura principale pubblica qual è la Sanità”. Contestualmente il Presidente del Comitato ha sollecitato la “costruzione di nuove vie istituzionali per la partecipazione attiva di massa alla vita democratica direttamente esercitabile per le agibilità delle forme politiche del Comune”. Non a caso, a chiusura dei lavori assembleari, è stata condivisa la proposta di convocare al più presto gli Stati Generali dei movimenti, al fine di dare anima e corpo alla Costituente sui Beni Comuni, una necessità non più procrastinabile.

Pressenza.com


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