Cookies nam pomažu pri pružanju usluga. Korištenjem naših usluga, prihvaćate naše korištenje cookies-a.

GLASOVI COMMONERA

Un amore di lavoro

Ho un lavoro che mi permette di avere una totale, o quasi, autogestione dei tempi, uno stipendio abbastanza decoroso (visti i tempi), quello che faccio lo so fare e non mi ripugna particolarmente. Poi, effettivamente, il mio desiderio sta altrove.

L'altro giorno son stata convocata dal mio capo che mi ha comunicato che ha molta stima di me, che il mio lavoro tecnicamente è ineccepibile, che i miei risultati sono buoni. Tuttavia c'è un problema che ritiene insormontabile: non metto passione nel lavoro. Faccio tutto quello che mi viene richiesto ma non di più. Non me la godo, non mi diverto, non intrattengo con i colleghi un rapporto capace di andare oltre lo stretto necessario.

Insomma, o mi faccio venire la passione per quello che facciamo, o sono fuori.

Questo il succo. Penso che siano state minacce abbastanza insensate, ma la mia reazione è stata comunque vicina al licenziarmi da sola, e ciao. Poi ho pensato che la soluzione pratica mi vedrà fingere amore per l'azienda (eh, figurati se non so fingere questa cazzata). Insomma vi risparmio le varie riflessioni personali e vengo al sodo.

Ovviamente una richiesta del genere mi è parsa allucinante, umiliante, inutile, irritante e fuori luogo. Ma a lui no. Tra l'altro il mio capo, non è un cretino. Fosse uno stupido penserei una cosa tipo: poveretto, assecondiamolo. Ma non lo è.

Allora mi dico: la situazione è molto più grave di quanto pensassi. Eh sì, perché questo concetto aberrante per cui l'azienda per cui lavori deve essere la tua famiglia, il lavoro che fai lo scopo della tua vita, l'andamento del mercato l'elastico cui si lega il tuo umore, i risultati ottenuti la tua fierezza, i colleghi i tuoi amici è ormai penetrato ovunque.

Nella mia testa l’azienda resta una controparte. È quella che ti dà o ti leva, a seconda di avvenimenti che non controlli. Quella che compra il tuo tempo, imponendo orari, movimenti, compiti. E la battaglia, per me, dovrebbe essere quella di vendere il proprio tempo al miglior prezzo, ovvero vendere poco tempo a molti soldi. Invece ti chiedono di essere entusiasta, di essere parte di qualcosa, di condividere. Cioè, la tua controparte ti chiede di diventare suo sostenitore, mantenendo i vantaggi di tenere il coltello dalla parte del manico. La lama resta in mano a te.

Questa cosa mi ricorda che forse la storia si ripete: il popolo veniva affamato, vessato, e poi gli toccava pure andare a fare la guerra per il signorotto di turno. Gli toccava difendere il proprio carnefice. Ecco a me pare che anche oggi sia un po' così, la questione.

Sono partita da me ma non penso solo a me, ci sono problemi peggiori. C’è gente che non ha stipendio, oppure guadagna veramente pochi soldi. Quello che stiamo vivendo, a mio avviso, è un passaggio che punta a stroncare la possibilità che le persone si rivoltino contro chi le sfrutta. Siamo dentro un ricatto morale e sentimentale che a me sembra enormemente distruttivo.

E in più leva questa famosa "dignità" a chi lavora. Dover essere contenti per forza non mi sembra una cosa dignitosa. Si dovrebbero fare manifestazioni per dire "a noi essere parte della grande famiglia che ci sfrutta - che so - ci fa schifo”.

Mi pare incredibile questa cosa. Voi che cosa ne pensate?

Risada falsa

Commonfare.net je za, sa i od ljudi.

Želite li se pridružiti? Trebat će vam samo email adresa koju nikada nećemo koristiti u druge svrhe.

6 Komentara

Anonymous avatar

Anonimno

Srpanj 18, 2018 at 23:18

More and more in today's work, you are asked to participate in something that does not belong to you. It is the alienation of life. And it is difficult to escape. This is why a guarantee of income is more necessary than ever

Anonymous avatar

Anonimno

Srpanj 19, 2018 at 14:35

non trascurerei il fatto che tale passione diviene poi una trappola, in cui si lavora più del previsto senza ricompense immediate, una trappola che nasconde i conflitti verso l'alto e li porta al livello dei colleghi, che non fanno bene abbastanza, etc... hai proprio ragione, è un dispositivo perverso!

Card bin italia logo vertical

BIN Italia

Srpanj 19, 2018 at 16:44

Questa storia fa venire un vecchio un articolo di qualche tempo fa... "I tempi di Sara", anche questa una "storia vera" di lavoro in cui viene richiesta "la passione che fa valore aggiunto"... come competenza... il titolo di questa storia "un amore di lavoro" è una sintesi bellissima (complimenti a chi l'ha pubblicata) cosi, per dare un contributo e per continuare a confrontarci su queste storie, e su come il "lavoro cambia" o meglio su come "la vita viene messa al lavoro e dunque a valore" giro qui il link a "I tempi di Sara"... tanto per mettere ancora un pò di carne sul fuoco http://www.bin-italia.org/i-tempi-di-sara/

Anonymous avatar

Anonimno

Srpanj 19, 2018 at 21:52

What I can say? Ten years ago, this kind of situation was considered unbealivable. Now, i think, that is the right confirmation of the fact the we have to face a sort o "life subsumption". The precarity condition is so generalize that is able to infect life! How can we fight aganst? Surely, as minimum, with an unconditional basic income, to get the autodermination of our (unprisoned and commodified) life!

Card quelo peace

nepantla

Kolovoz 10, 2018 at 22:22

Una storia onesta e amare eppure, paradossalmente, piena di passione. Da precaria dell'università, questa storia mi ha fatto venire in mente questo articolo (https://www.researchgate.net/publication/315968573_Senza_limiti_ma_con_passione_Senza_riconoscimento_ma_con_ottimismo_Lavorare_con_un_assegno_di_ricerca_nell'universita_italiana) che cita, tra gli altri, il bellissimo saggio di Lauren Berlant "Ottimismo crudele". Per usare le parole di Sarah Ahmed, dovremmo agire tutti e tutte come "guastafeste femministe", e smascherare la violenza e lo sfruttamento che si nascondono dietro l'ordine di essere felici e appassionati. Bel fatto, Vale!